Un percorso guidato attraverso effetti personali raccolti in una valigia, ricordi e sentimenti.
Il fascino indiscreto dei nostri consumi, la materia come nucleo su cui posare gli occhi, ritorno alla natura stessa dell’oggetto, ritorno da un viaggio, andata e ritorno nel mondo della forma e della scultura che si adatta ai nostri tempi e spazi. L’ecologia della forma e la materia del riciclo divengono una trasformazione simbolica negli oggetti personali di uso quotidiano. Non è importante cosa portiamo con noi, ma come, quello che portiamo viaggiando, possa trasformarsi in “altro”. L’uso della materia scavalca il contenuto come l’idea supera il messaggio. Il percorso si completa nelle sculture da viaggio, elementi unici e personali, l’opera d’arte mobile, come divulgazione dell’elemento plastico che non sia soltanto “monumento” ma che diventa piacere tattile, non lontano da noi ma con noi. La scultura trasportabile ovunque sia ci trasmette calore attraverso l’uso della soapstone, materiale che a sua volta ha viaggiato tra Canada e Africa prima di diventare scultura, calore che si genera attraverso lo strofinio della mano, la scultura come “lampada magica”. Se la iuta di Burri costituiva il perno dell’opera, la plastica da imballaggio ne assume tutti i lati cromatici. La natura si ribella e il materiale perde la sua funzione originaria per trasformarsi in “altro” e per riemergere dalle macerie di un consumismo sfrenato che non rispetta ne la materia ne la natura. È il disordine che ci ispira la ricerca del suo opposto. L’artista cerca tracce che ci conducono ad approdi di certezze che superino il quotidiano e questo lo fa componendo, smembrando, smaterializzando ciò che di noi è “restato” non fruito, utilizzando, ma che non può essere abbandonato perché è “nostro” è umano. Superare l’altruità della materia è ricerca di sé, è oltrepassare il suo stesso concetto per ritornare alla natura stessa del possesso dell’oggetto e della sua forma. Jole Falco riprende ciò che di umano è rimasto della materia al fine di recuperare la funzione di ciò che si credeva morto. Cos’ è la Fenice? È ciò che è rimasto dopo l’abbandono o è l’arte rinata dall’abbandono? Quando si fa aderire la propria creatività alla vita quotidiana, la materia si adatta al luogo, e il messaggio creativo, l’arte come comunicazione, diventa pubblico e non più privato; un quotidiano fuori dalle case, alla fermata dell’autobus, in attesa di un ascensore o in viaggio.